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Il rifugio di Goethe

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Goethe fuggì in Italia nel 1786. Non poteva aspettare un giorno di più. Ormai era giunto al limite: “ Lo scopo principale del mio viaggio era quello di guarire dai malanni fisici e morali che mi tormentavano in Germania e che alla fine mi avevano tolto ogni energia…” L’Italia salvò Goethe ed è grazie alla sua bellezza naturale ed artistica che il grande artista-iniziato riuscì a ricaricarsi…In un mondo come quello materiale, pieno di vampiri energetici e di ostacoli fisici e psicologici, è fondamentale avere un luogo (esterno o interiore) dove recuperare le proprie energie. Non si tratta di ‘andare in vacanza’; le vacanze sono la libera uscita di una umanità ridotta in schiavitù da un sistema economico-sociale impazzito; Goethe fuggì anche da una parte di sé stesso che lo stava divorando. In Italia riuscì a trasformare quella parte di sé in un nuovo essere umano: “ Anche se sono sempre lo stesso, mi pare di essere cambiato fino al midollo.”

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Trovare il proprio rifugio richiede sempre un viaggio iniziatico, e al termine di un tale viaggio non siamo più gli stessi, siamo cambiati fino al midollo. Accadde anche a Pitagora quando andò in Egitto: “  [Pitagora] passò ventidue anni in Egitto, nei penetrali dei templi, dedito all’astronomia e alla geometria, e intento a farsi adepto, in modo tutt’altro che casuale e superficiale, di tutti i misteri divini.” Tanti anni quelli passati da Pitagora in Egitto, del resto era quasi impossibile per un greco farsi accettare dai sacerdoti egizi e diventare degno di raggiungere i livelli divini dell’anima; dovette affrontare un  lungo periodo di prova e di apprendistato, poi anche Pitagora, come Goethe, fece ritorno. Sì, perché anche il fare ritorno è una prova iniziatica.

Goethe passò in Italia circa due anni e studiò ogni cosa, l’arte e la vita, assorbendo millenni di storia come una creatura marina che assorbe gli elementi per farne una perla: “ …chi ha visto bene l’Italia, e Roma in particolare, non potrà mai diventare del tutto infelice.” C’è un grande segreto in queste parole: una bellezza suprema, se vissuta fino in fondo, ci proteggerà da ogni evento negativo. In fondo Goethe cercò in Italia e a Roma il rifugio nella pura bellezza; l’Italia era davvero un paradiso terrestre, prima della follia industriale, prima dei crimini della cementificazione…e Goethe amava soprattutto il mare: “ Se vedessi il mare ne avresti una grande gioia. Quando dopo un certo tempo  si è fatta l’abitudine non si riesce più a capire come si sia potuto vivere senza averlo veduto, né come si potrà continuare a vivere senza vederlo.”  I paesi mediterranei hanno questa immensa grazia, questo contatto col mare, che è un elemento decisivo per innalzare la coscienza divina, infatti: “sarasām asmi sāgarah” (Bhagavad-gītā, 10, 24), tra le distese d’acqua sono l’oceano; il divino stesso si manifesta nelle grandi realtà naturali e ci purifica; Goethe trovò a Roma la grandezza della Natura e i veri segreti delle Arti plastiche. Comprese di non essere destinato alla pittura, ma disegnò ugualmente centinaia di paesaggi e figure, per disciplina, per imparare a vedere. Ognuno dovrebbe trovare un proprio rifugio, una Roma ideale dove poter ritrovare se stessi, la propria missione.

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Goethe scrive: “ Le antichità, la storia, la letteratura delle diverse arti…[…] vengono praticate  alacremente da singole persone frequentando le quali si apprende quasi senza accorgersene, e così Roma diventa, per chi voglia applicarsi, una vera scuola superiore.” Il nostro rifugio non deve essere un luogo passivo ma di studio superiore; e il vero studio superiore accade naturalmente, per osmosi, ‘quasi senza accorgersene’.  Goethe assimilò tutto ciò che poteva, in modo vitale, con gioia; così un luogo diventa un rifugio che nessuno può toglierci, poiché il lavoro compiuto in esso appartiene solo a noi ed è unico. Anche se Goethe dovette tornare a Weimer una Roma ideale rimase sempre con lui, perenne, intatta, raggiungibile col pensiero e col cuore. Nelle sue conversazioni con Eckermann Roma sarà sempre una ‘leggenda’, un luogo del mito, e quindi dell’anima. Questo dovremmo trovare per avere una vita felice, un luogo che sia per noi un luogo dell’anima: un paese, una città, un castello…qualcosa che protegga i nostri sogni da qualsiasi incubo.

  Goethe mostrò anche nel suo Faust l’importanza iniziatica di avere un proprio rifugio, un luogo inaccessibile agli altri:

Sempre più in alto devo salire,

sempre più in alto devo guardare!

Ora  so dove sono:

in mezzo all’isola, sono,

in mezzo al paese di Pèlope,

congiunto al mare come alla terra!

  

 L’anima, finalmente consapevole di sé, ha compreso i propri poteri divini; ogni dio crea il proprio mondo, il proprio spazio; e Goethe creò la sua Roma interiore, e di essa divenne il Re, il monarca assoluto. Proprio questo esprime, in realtà, il ritratto di Tischbein dove Goethe appare come un sovrano tra le antiche rovine…

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 Il pittore ha colto lo stato d’animo sovrano che Goethe stava cercando da una vita e che a Roma realizzò. Spetta ad ognuno di noi diventare sovrani di uno spazio reale e simbolico, interiore ed esteriore. Se non troviamo la nostra Roma allora dobbiamo sforzarci di crearla… D’Annunzio lo fece col Vittoriale, Miller con Parigi, Rilke con Duino; non ci sono limiti creativi per la nostra coscienza e ogni coscienza ha il potere di creare uno spazio e di governarlo. La fisica ha scoperto tardi ciò che questi grandi poeti già sapevano: materia e spazio dipendono dallo sguardo dell’anima. Più l’anima cresce e più il suo sguardo detta legge sull’universo che la circonda. Ed è una legge di armonia e bellezza, non la legge dei dittatori, mossi solo dalla loro paranoia…

Valentino Bellucci

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Adriano ed Antinoo

 

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È splendore per pochi angeli”, canta una canzone dell’amore. Quanti passi si fanno ‘con’, ‘da’, ‘verso’ l’amore… ogni amore ha la sua storia, storie d’amori impersonali, vigliacchi, d’un attimo, infelici o felici, unici, perfetti, eterni, ma ad ogni modo il vero Amore è solo per pochi eletti e per i coraggiosi.

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Antinoo è il bellissimo fanciullo che l’imperatore Adriano conobbe durante un suo viaggio in Bitinia, probabilmente nel 123 d.C, due anni dopo l’imperatore fece ritorno a Roma portando al suo seguito il suo giovane innamorato. Antinoo restò al fianco di Adriano e lo seguì anche nei viaggi ufficiali, come quello intrapreso in Egitto dove l’efebo morì annegando nelle acque del Nilo. La sua tragica morte rimane un mistero, tra le ipotesi, la più romantica, che ricorda un po’ la più memorabile ‘tragedia a lieto fine’ di Euripide, è quella della ‘morte vicaria’ ipotizzata da Cassio Dione Cocceiano il quale suggerisce un sacrificio di Antinoo per salvare Adriano al quale i maghi avevano predetto la morte entro un anno a meno che un volontario non si fosse immolato al posto suo.

L’imperatore, straziato dal dolore per la prematura perdita dell’amato, ne fece riprodurre le fattezze in tutti i modi possibili per perpetuarne la memoria, lo divinizzò. Fece edificare la città di Antinoopoli in Egitto, nello stesso luogo dove il suo compagno annegò, eresse l’Antinoeion, il tempio in Villa Adriana venuto alla luce da recenti campagne di scavo, che probabilmente aveva funzione di luogo-memoria dove ricordare il suo caro.

Frutto di una delle storie d’amore più antiche ma più belle, capace di commuovere ancora oggi, anche le innumerevoli iconografie a lui dedicate:

download (1)Antinoo fu ritratto su monete, rilievi, gemme, piastre votive, gioielli, in infinite sculture, di marmo, di bronzo, sparse per tutti i musei del mondo, che lo vedevano nei panni di Apollo, Osiride, Dioniso, sacerdote di Attis, l’Antinoo Farnese. La serie ricchissima di riproduzioni della figura di Antinoo, sebbene sia storicamente indefinita se non per quanto riguarda il legame con Adriano, ha dato origine ad un vero e proprio mito tanto da costituire “l‘ideale di bellezza”, un modello per l’arte Antica e per le sue riprese.

Nelle ore di insonnia, percorrevo i corridoi della Villa, erravo di sala in sala, mi fermavo davanti ai simulacri di Antinoo. Ogni stanza aveva il suo, ogni portico perfino. Sfioravo con un dito quel petto di pietra”, scrive Marguerite Yourcenar parlando del dolore dell’imperatore romano nel suo romanzo Memorie di Adriano.

 

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[:it]Ermete Trismegisto nel Duomo di Siena[:]

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Che il pavimento del Duomo di Siena segua un percorso “esoterico” secondo una visione ermetica (nel senso di non “accessibile” a tutti) appare evidente nella prima delle tarsie che si incontrano partendo dall’ingresso, dove si trova il portale principale.

Si tratta di un percorso iniziatico di scoperta e conoscenza interiore, spirituale. Un percorso che inizia con Ermete Trismegisto e trova la sua spiegazione nella tarsia del Colle della Sapienza.

E’ nella prima tarsia che è raffigurato Ermete Trismegisto (il tre volte grandissimo), il dio Thot Egizio, il Mercurio dell’antica Roma, l’Hermes per i Greci, autore della Tavola Smeraldina che custodisce i “segreti” della Natura, il padre di tutta la Conoscenza umana. A lui si fa risalire un trattato chiamato Corpus Hermeticum, composto da 14 trattati che vennero diffusi in Europa grazie alla loro traduzione ad opera di Marsilio Ficino.

La sua identità è espressa dal cartiglio in basso ai suoi piedi:

HERMIS MERCURIUS TRIMEGISTUS

CONTEMPORANEUS MOYSI’ = Ermete Mercurio Trismegisto, contemporaneo di Mosè

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In un grande quadrato incorniciato da un motivo labirintico, campeggia, su fondo nero, la figura di un Sapiente (Ermete Trismegisto) che poggia i piedi su un pavimento di colore rosso. Il Sapiente indossa un cappello a punta bordato di giallo, anche il colletto è giallo mentre la veste che indossa è bianca; inoltre la veste è annodata in vita e indossa anche un lungo cordone, anche questo di colore giallo, che scende sui fianchi.

Tutti colori alchemici: sullo sfondo il nero, il giovane in disparte è tutto bianco; Ermete ha tre elementi del suo abbigliamento in giallo; e l’altro personaggio maturo e autorevole ha un elemento in rosso.

La tarsia viene datata al 1488, opera di Giovanni di Stefano. In questo periodo venivano studiate, tradotte e divulgate dagli Umanisti le opere greche e latine che le Corti raccoglievano nelle loro Biblioteche. Questo è molto importante da considerare per capire il contesto culturale, storico e religioso in cui il pavimento prese avvio come progetto globale.

L’espressione di Ermete Trismegisto è benevola mentre consegna con la mano destra un libro aperto ad un personaggio con la barba, con un turbante in testa e con la veste bordata di rosso (la sapienza Orientale), dietro il quale c’è un terzo personaggio, vestito di una tunica bianca (l’Occidente).

Sul libro aperto si legge: Suscipite o licteras et leges Egiptii, “Ricevete, o Egiziani, il dono della cultura e della legge”.

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Con l’altra mano egli indica una pietra sulla quale è inciso Deus omnium creator secum Deum fecit visibilem et hunc fuit primum et solum quo oblectatus est et valde amavit proprium Filuim qui appellatur Santum Verbum, “Dio, creatore di tutte le cose, creò un secondo Dio visibile, e questi fu il primo Dio che egli fece e il solo in cui si compiacque: ed egli amò Suo Figlio, chiamato il Verbo Santo”. La prima iscrizione deriva da Cicerone, la seconda dall’opuscolo ermetico Asclepius, entrambi nella mediazione dello scrittore cristiano Lattanzio, che li cita nelle sue Divinae Institutiones. 

Il riferimento alla terra dei Faraoni, con la sua Antica Sapienza è evidente. Ermete sembra volerla affidare alle genti dell’Oriente e dell’Occidente tenendosi sempre saldi all’origine divina (la prima indagine che l’uomo deve compiere) ricordata nella tavola, su cui poggia la mano sinistra di Ermete, sorretta da due sfingi alate le cui code si annodano formando un 8 (simbolo dell’infinito e della Sapienza).

Francesca Pontani

http://archeotime.com/2015/10/20/ermete-trismegisto-nel-duomo-di-siena/[:]

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[:it]PAPIRI E STELE CON RITUALI DI INIZIAZIONE OSIRIDEA[:en]PAPYRUS AND STELAE WITH RITUAL INITIATION OSIRIDEA[:]

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Testimonianze di personaggi che abbiano realmente eseguito i rituali di iniziazione ad Osiride ci sono pervenuti solo attraverso alcuni papiri e steli che vanno dal XV sec. a.C. al I sec. d.C.: l’analisi che fa Guilmot nel suo “Iniziati e riti iniziatici nell’antico Egitto” va posta in parallelo con il Capitolo 125 del Libro dell’uscire al giorno che abbiamo sopra concisamente riassunto; si vedrà così come i vari passaggi del rituale descritti in questi testi siano non sempre perfettamente coincidenti con le parole del Libro, nel quale probabilmente è conservata una forma più arcaica di iniziazione.

Precisiamo che Guilmot vede tutta l’operazione iniziatica come una sorta di travaglio psicologico mirante ad un “perfezionamento spirituale”, anche se non è chiaro cosa egli intenda per “spirituale”, basato sullo “scatenarsi dell’emotività”, ed il suo studio si basa, come egli stesso dice, “sull’unire la tecnica della filologia a quella della psicologia dell’irrazionale”: prese le giuste misure dalle sue personali interpretazioni, con le quali ovviamente non concordiamo, il lavoro svolto da Guilmot risulta davvero importante per la conoscenza dell’effettiva realizzazione di tecniche iniziatiche nell’antico Egitto.

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I testi studiati da Guilmot sono tre: il più esteso è proprio il più recente (papiro T 32 di Leida, scritto per un sacerdote di nome Horsiesis, Profeta di Amon Râ, I sec. d.C.), esso quindi risente della corruzione causata dal diffondersi dei Misteri classici in Egitto, come d’altronde si osserva anche nella descrizione del rito fatta da Apuleio nelle sue Metamorfosi. Però il confronto con testi più antichi (iscrizioni nella tomba di Amenhotep, sacerdote di Amon sotto Thutmosi III nel XV sec. a.C. e sulla statua di Hor, profeta di Amon durante la XXII Dinastia nel IX-VIII sec. a.C.) consente di rilevare l’esistenza di un iter iniziatico parallelo tra i vari testi, anche se non perfettamente coincidente sia tra di loro sia con quello riportato nel Libro dell’uscire al giorno (Tabella comparativa in: a sinistra il Capitolo CXXV, a destra i punti salienti del rituale). Questo iter può essere distinto in cinque fasi:

  1. 1. L’accoglienza dell’iniziato nel “luogo sacro” identificato con un tempio di Osiride e in alcuni casi l’offerta di una corona di fiori o di fronde, quale si è ritrovata in alcune sepolture, come quella di Tut-ankh-Amon. Essa si identifica probabilmente con la corona del cap. XIX del Libro dell’uscire al giorno: “Tuo padre Atum ha posto questa corona di giustificazione sulla tua fronte affinché tu viva in eterno”; la corona, simbolo della regalità, è anche simbolo del potere e la sua forma circolare è segno del mondo trascendente. Anche Apuleio riceve una corona, ma alla fine del percorso iniziatico, una corona fatta di fronde di palma, le cui punte sono simbolo dei raggi solari: l’iniziato è divenuto un eguale di Râ.
  2. 2. La discesa sotto terra o il passaggio attraverso l’oscurità della sala ipostila del tempio da solo o accompagnato da sacerdoti o da Anubis stesso (un sacerdote vestito con la maschera del Dio), sostituito in alcuni dei testi riportati da Guilmot dalla trasmissione di segreti o dalla lettura di testi, che egli suppone contengano formule iniziatiche. Il significato del “passare sotto terra” o comunque attraverso un luogo oscuro è simbolo della morte che l’iniziato deve subire per rinascere. Un dipinto di epoca tarda raffigura il defunto vestito di bianco, segno di purità rituale, con in mano una corona e al suo lato sinistro Anubis che lo accoglie tra le braccia, mentre a sinistra vi è un sarcofago, segno della parte corporea che il defunto lascia dietro di sé; analogamente nel Libro di ciò che è nell’Amduat l’Ora XII si conclude, come si è visto, con la mummia di Osiride abbandonata sulla parete dell’Amduat mentre il Sole-Iniziato esce in forma di Khepri tra le braccia di Atum.
  3. 3. L’ingresso nella Stanza sotterranea o in un luogo analogo e la “giustificazione” dell’iniziato che diviene maakheru, “giusto quanto a voce”.
  4. 4. La rigenerazione, che si attua attraverso un bagno purificatore in un bacino, quale si trova accanto a tutti i templi o, nel caso di Abydos, probabilmente nell’anello di acqua che circonda la piattaforma centrale, di cui diremo avanti.
  5. 5. La rivelazione del Dio e l’illuminazione trascendentale che ne consegue e che si raggiunge attraverso la visione del corpo del Dio o del reliquiario della sua testa o del suo corpo nel sarcofago, atto che costituisce il momento culminante e finale del rituale.

Come si può vedere, la corrispondenza con il testo del Libro dell’uscire al giorno non è perfetta: anche lì abbiamo azioni rituali simili e con analogo significato, ma in ordine diverso e con alcuni passaggi che sono forse più coerenti con quanto ci si attende da un rituale iniziatico, ad esempio la purificazione dovrebbe precedere e non seguire la giustificazione, la quale dovrebbe essere il punto di arrivo del rito, mentre nei testi studiati da Guilmot essa è sostituita da una specie di illuminazione che giunge a seguito della visione di oggetti sacri, il che è analoga a quella descritta ad esempio nei Misteri Eleusini.

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Il luogo in cui si svolgeva l’iniziazione nel papiro di Leida tradotto da Guilmot è il tempio di Osiride ad Abydos, nel quale il culto del Dio aveva origini antiche, risalenti alle prime Dinastie, ed in particolare la parte nota come Osireion. Si tratta del settore, indipendente dal tempio vero e proprio e situato a nord di esso, costruito da Sethi I: si entra tramite un corridoio in discesa diretto da ovest ad est (segno che la rigenerazione seguiva il percorso del Sole-Râ) e lungo circa cento metri, le cui pareti portano incisi testi dei Libri dei Morti; alla fine del corridoio si giunge in una sala di forma rettangolare, al cui centro si erge una piattaforma circondata da un anello di acqua, per accedere alla quale vi sono due gradinate sui lati corti.

Sulla piattaforma vi sono tutt’ora due cavità, le quali si ritiene servissero a contenere il sarcofago del Dio e la testa di Osiride, la reliquia più importante tra tutte quelle riferite ad Osiride: i due oggetti costituivano il centro focale dell’illuminazione come la descrive Guilmot. Attorno all’Osireion, vi erano alberi di Persea, la pianta sacra simbolo di immortalità, e nel papiro di Leida trascritto da Guilmot si dice espressamente: “Tu arrivi nella stanza sotterranea, sotto gli alberi (sacri). Presso il Dio Osiride (ecco)ti giunto, colui che dorme nel suo sepolcro. Allora nel luogo santo ti è dato il titolo di Giustificato” (pag. 84).

Questa descrizione fa pensare all’esistenza di un tumulo funerario eretto sopra l’Osireion sul quale dovevano essere piantati gli alberi di Persea, anche se alcune ricostruzioni fanno invece pensare che esso avesse un tetto aperto al centro da un grande lucernario.

Tratto da Anemos di Leonardo Lovari – Harmakis Edizioni – 2015

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Recollections of people who have actually performed the initiation rituals to Osiris have survived only through some papyrus and stems ranging from the fifteenth century. B.C. to the first century. d.C .: analysis that makes Guilmot in his “Initiates and initiation rites in ancient Egypt” should be placed in parallel with Chapter 125 of the Book of going a day we have briefly summarized above; you will see the ritual as well as various steps in these texts are not always perfectly coincide with the words of the Book, which is probably preserved a more archaic form of initiation.

Please note that Guilmot sees the whole operation initiation as a kind of psychological suffering aimed at a “spiritual perfection”, although it is not clear what he means by “spiritual”, based on “unleashing of emotion”, and its study based, as he himself says, “on joining the philology technique to that of irrational psychology”: the right measures taken by his personal interpretations, with which of course we do not agree, the work done by Guilmot is really important for the knowledge of the actual implementation of technical initiation in ancient Egypt.

 

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The texts studied by Guilmot are three: the largest is just the latest (papyrus 32 T Leiden, written for a named Horsiesis Priest, Prophet of Amon Ra, the first century AD.), So it is affected by the corruption caused by the spread Mysteries of the classics in Egypt, as indeed is also observed in the description of the ritual made by Apuleius in his Metamorphoses. But the comparison with older texts (inscriptions in the tomb of Amenhotep, the priest of Amon under Thutmose III in the fifteenth century BC. And the statue of Hor, prophet of Amon during the XXII Dynasty in the IX-VIII century BC.) Is used to detect the ‘existence of a parallel initiation process among the various texts, even if they do not match either among themselves or with that reported in the Book of Dead (in comparative table: Chapter CXXV left, right, the highlights of the ritual ). This process can be divided into five phases:

1. The acceptance of the initiate in the “holy place” identified with a temple of Osiris and in some cases the offer of a crown of flowers or foliage, which is found in some graves, like that of Tut-ankh- amon. It probably identifies with the crown cap. XIX of the Book of going a day: “Your father Atum has asked this of justification crown on your brow you will live forever”; the crown, symbol of royalty, is also a symbol of power and its circular shape is a sign of the transcendent world. Apuleius also receives a crown, but at the end of the initiatory path, a crown made of palm fronds, whose tips are a symbol of sun rays: the initiate has become an equal of Ra.
2. The descent below ground or passage through the darkness of the pillared hall of the temple alone or accompanied by priests or by Anubis itself (a priest dressed with the God of the mask), replaced in some of the texts reported by Guilmot from transmitting secret or by reading texts, which he supposed to contain initiation formulas. The meaning of “go underground” or otherwise through a dark place is a symbol of death that the initiate must undergo in order to be reborn. A late antique painting depicts the deceased dressed in white, a sign of ritual purity, holding a crown and his left side Anubis who welcomes him into his arms, while on the left there is a sarcophagus, a sign of the body of the deceased He leaves behind; similarly in the Book of what is now the nell’Amduat XII ends, as seen with the Osiris mummy abandoned on dell’Amduat wall while the Sun-Initiate comes out in the form of Khepri in the arms of Atum.
3. Entry into the underground room, or in a similar place and the “justification” of the initiate who becomes maakheru, “just as a voice.”
4. The regeneration, which occurs through a purifying bath in a basin, which is located next to all the temples or, in the case of Abydos, probably in the ring of water surrounding the central platform, of which we shall speak later.
5. The revelation of God and the transcendent light that goes with it and that you reach through the body of the vision of God or of the reliquary of his head or his body in the tomb, an act which constitutes the culminating and final moment of the ritual.

As you can see, the correspondence with the text of the Book of going a day is not perfect: there too we share similar rituals and with a similar meaning, but in a different order and with some passages that are perhaps more consistent with what one would expect as an initiation ritual, such as the purification should precede and not follow justification, what should be the culmination of the rite, while in the texts studied by Guilmot it is replaced by a kind of enlightenment that comes as a result of the vision of objects sacred, which is similar to that described for example in the Eleusinian mysteries.

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The place where the initiation takes place in the papyrus of Leiden translated by Guilmot is the temple of Osiris at Abydos, in which the worship of God had ancient origins, dating back to the first dynasties, and particularly the part known as Osireion. It is the sector, independent of the real temple is located to the north of it, built by Seti I: you enter through a corridor in direct descent from the west to the east (a sign that the regeneration was following the path of the Sun-Ra) and long about a hundred meters, the walls of which bear engraved texts of the Books of the Dead; at the end of the corridor is reached in a rectangular room, the center of which stands a platform surrounded by a ring of water, for access to which there are two tiers on the short sides.


On the platform there are still two cavities, which is believed to serve to contain the tomb of God and the head of Osiris, the most important relic of all those related to Osiris: the two objects were the focal point of enlightenment as He describes Guilmot. All’Osireion around, there were trees of Persea, the sacred plant a symbol of immortality, and in the papyrus of Leiden transcribed by Guilmot expressly says: “You arrive in the underground room, under the trees (sacred). At the God Osiris (that) you come, the one who sleeps in his tomb. Then in the holy place it is given to the title of Justified “(p. 84).


This description suggests the existence of a burial mound erected over the Osireion had to be planted on which the Persea trees, although some reconstructions do however think that it had an open roof in the middle by a large skylight.


Taken from Anemos Leonardo Lovari – Harmakis Edizioni – 2015

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[:it]A casa di Gurdjieff per Natale[:en]At home Gurdjieff for Christmas[:]

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Come esempio della maniera non dogmatica e del tutto pratica che aveva Gurdjieff di insegnare, racconterò quello che mi è capitato la vigilia di Natale (il Natale russo che viene in ritardo di tredici giorni rispetto al nostro). Ero stato convocato a casa sua dove trovai un altro dei suoi allievi. Il padrone di casa ci fece entrare nel salone che era vuoto e al centro del quale erano stati deposti dei giocattoli, dei dol­ciumi e delle arance. Si trattava di ripartirli in piccole buste di carta affinchè ogni bambino avesse la sua parte.

Un grazioso abete, appena riportato dal mercato dei fiori, testimoniava che tutto sarebbe stato fatto secondo le regole. Mi sentii in dovere di trasformarlo in albero di Natale. Ave­vo a portata di mano delle ghirlande, le candele e le stelle necessarie. Per un alsaziano come me era un’occupazione profondamente soddisfacente. Il mio compito era terminato o quasi quando Gurdjieff entrò, gettò un rapido sguardo ai nostri lavori e, avvicinan­dosi all’albero, mi fece segno di appenderlo al soffitto. Non credevo ai miei occhi. «Ma… Signore… al soffitto là in alto? La punta in basso? Le radici per aria?». Era proprio quello che voleva. Non mi restava che spogliare l’abete e, montato su di uno sgabello, fissare alla meglio le radici al soffitto. Quanto alle candele, non avevo avuto nessuna in­dicazione e Gurdjieff era già uscito dalla stanza. Questa storia lascia perplessi. Si fa presto a dire: «Que­st’uomo non fa niente come tutti gli altri. Smettete di in­terrogarvi su di lui». Io invece gli attribuisco un’intenzione precisa. Ma qual era in questo caso? Chi ha orecchie per intendere, intenda.

(Tratto dal libro Monsieur Gurdjieff, ma lei chi è? di Renè Zuber)

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As an example of a non-dogmatic and quite practical that Gurdjieff had to teach, I tell you what happened on Christmas Eve (the Russian Christmas, which is delayed by thirteen days compared to ours). I had been summoned to his house, where I found another one of his students. The host made us enter the living room that was empty and the center of which had been deposed toys, candy and oranges. It was to allocate them in small paper envelopes for each child had his share.

A lovely fir, just quoted from the flower market, testified that everything would be done according to the rules. I felt compelled to turn it into Christmas tree. I had to hand garlands, candles and the stars needed. For an Alsatian like me was an occupation deeply satisfying. My job was finished or almost when Gurdjieff came in, threw a quick look at our work and, approaching the tree, signaled me to hang it from the ceiling. I could not believe my eyes. “But … Lord … the ceiling up there? The tip at the bottom? The roots for air? “. It was just what he wanted. I just have to strip the fir and, mounted on a stool, staring at the ceiling better roots. As the candles, I had had no indication and Gurdjieff had already left the room. This story is puzzling. It’s easy to say, “This man does nothing like everybody else. Stop to question you about him. ” I will attach the precise intention. But what it was in this case? He who has ears to hear, let him hear.

(From the book Monsieur Gurdjieff, but who are you? Rene Zuber)

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[:it]Thot ed Ermete Trismegisto[:en]Thoth and Hermes Trismegistus[:]

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Thoth
Thoth

Ermete Trimegisto compare nelle fonti egizie alla fine del II secolo a.C. Il Corpus Hermeticum venne scritto il secolo successivo, ed è formato da una raccolta di diciotto testi, con una traduzione latina  di uno di questi, intitolata Asclepius. Qualche tempo fa e stato rinvenuto un teso demotico, scritto nel linguaggio popolare, il cosidetto Libro di Thot del I secolo a.C. e conservato in dei papiri del II secolo a.C. Parla di un dialogo  tra Thot e Osiride con un allievo, in cui Toth racconta di cose che riguardano gli Inferi, l’etica, la geografia sacra dell’Egitto.

Il trattato si concentra fortemente sugli Inferi, mentre l’ermetica che conduce all’immortalità dirige verso l’alto al cielo. Qui ci sono molte concordanze l’ermetismo greco, il riferimento a una festa di Imhotep chiama direttamente in causa Asclepio. In questi scritti compare anche la figura divinizzata di Imhotep. Per mezzo di un ritrovamento della base di una statua del Re Djoser (2650 a.C) con il titolo e il nome di Imhotep viene attestato il personaggio storico. A prtire dalla XXVI Dinastia, viene considerato con un dio, venendo equiparato al dio della salvezza  al greco Asclepio.

Imhotep

Il centro del suo culto è Menfi, luogo della sua propabile sepoltura, sotto la necropoli di Saqqara. Altro centro di Imhotep si trovava nel tempio di Hatshepsut a Deir el-Bahari, che successivamente divenne meta di pellegrinaggio. Il suo culto si diffuse anche in Nubia, nella cosidetta “Stele della Carestia” di epoca tolemaica nell’isola sul nilo di Sehel, nei pressi di Assuan dove il Re Djoser a causa di una carestia si rivolge a Imhotep, che fa parte del “sacerdozio di Ibis” e nella “casa della vita” di Ermopoli prende le informazioni sulla causa della carestia, per comunicarle dopo a Djoser.

Nel 46 a.C., sotto Cleopatra, Imhotep dà al sommo sacerdote di Menfi Pascherienptah e a sua moglie Taimhotep il tanto desiderato figlio, a cui viene dato il nome del dio. Nell’oroscopo greco del 138 d.C., Hermes e un “Asclepio, che è Imuthes” vengono nominatil’uno accanto all’altro, un “Asclepio Imuthes” è citato anche nel Kore Kosmou (la fanciulla del cosmo).

Ermete Trismegisto

L’immagine di Imhotep, come scriba seduto con un rotolo di papiro in grembo, influenzò anche la rappresentazione di Ermete Trismegisto. I trattati del Corpus Hermeticum vengono presentati in forma di annuncio diretto di Ermete, in forma di dialogo di Trismegisto e suo figlio Tat (Thot), oppure con Asclepio. Inoltre vengono sviluppati temi cosmo-critici  al platonismo e posizionandosi in dottrine gnostiche: nel corpus di di Nag Hammadi si è rinvenuto uno scritto su Asclepio.

Comunque pare evidente la provenienza egizia anche per la natura apocalittica dell’Asclepio sul futuro, rientra nell’antica tradizione egizia come le profezie di Nefertiti, arrivando fino all’epoca tolemaica. Secondo il Kore Kosmou, gli dei hanno impresso nei sacerdoti egizi tre arti: la filosofia e la magia per l’anima, l’arte medica per il corpo. Quello che rimane è dato dalla gnosi della salvezza: il demiurgo Nous creò l’uomo primordiale, operando anche lui come creatore, ma attaversando le zone dei pianeti scende sulla terra, trattenuto dalla materia. Solo chi conosce sé stesso può liberarsi da queste catene.

L’ermetismo è come una religione senza tempio e senza culto, ma usa i tempi egizi esistenti. Siccome Ermete Trismegisto non fu considerato un dio, ma un uomo, anche gli scribi cristiani lo riconobbero e usarono le sue dottrine. La Tabula Smaragdina, detta anche Kybalion, che sembra essere stata ritrovata nella tomba di Ermete Trismegisto sotto una statua di Hermes, viene oggi considerata l’opera di un alchimista arabo dell’VIII o IX secolo.

“Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare i miracoli della cosa una. E poiché tutte le cose sono e provengono da una, per la mediazione di una, così tutte le cose sono nate da questa cosa unica mediante adattamento.
Il Sole è suo padre, la Luna è sua madre, il Vento l’ha portata nel suo grembo, la Terra è la sua nutrice. Il padre di tutto, il fine di tutto il mondo è qui.
La sua forza o potenza è intera se essa è convertita in terra. Separerai la Terra dal Fuoco, il sottile dallo spesso dolcemente e con grande industria. Sale dalla Terra al Cielo e nuovamente discende in Terra e riceve la forza delle cose superiori e inferiori. Con questo mezzo avrai la gloria di tutto il mondo e per mezzo di ciò l’oscurità fuggirà da te. È la forza forte di ogni forza: perché vincerà ogni cosa sottile e penetrerà ogni cosa solida. Così è stato creato il mondo. Da ciò saranno e deriveranno meravigliosi adattamenti, il cui metodo è qui.
È perciò che sono stato chiamato Ermete Trismegisto, avendo le tre parti della filosofia di tutto il mondo. Completo è quello che ho detto dell’operazione del Sole.” –  Tabula Smaragdina

Le Confessioni di un Illuminato Volume 4

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Thoth
Thoth

Hermes Trismegistus appears in Egyptian sources from the late second century BC The Corpus Hermeticum was written the next century, and consists of a collection of eighteen books, with a Latin translation of one of these, called Asclepius. Some time ago and was found a tense demotic, written in popular language, the so-called Book of Thoth in the first century BC and preserved in the papyrus of the second century BC He talks about a dialogue between Thoth and Osiris with a student, where Toth tells of things that concern the Underworld, the ethics, the sacred geography of Egypt.
The treaty focuses heavily on the underworld, while the hermetic leading to immortality directs upward to the sky. Here are many concordances hermeticism greek, the reference to a party of Imhotep directly involves Asclepius. In these writings also it appears the figure deified Imhotep. Through a discovery of the base of a statue of King Djoser (2650 BC) with the title and the name of Imhotep is attested the historical character. A prtire the XXVI Dynasty, is considered a god, being equated to the God of salvation to greek Asclepius.

Imhotep

The center of his cult is Menfi, is reasonably probable site of his burial, in the necropolis of Saqqara. Another center of Imhotep was the temple of Hatshepsut at Deir el-Bahari, who later became a place of pilgrimage. His cult spread to Nubia, in the so-called Famine Stele” Ptolemaic Nile island of Sehel, near Aswan where King Djoser because of a famine is aimed at Imhotep, which is part of Ibis priesthood and thehouse of life of Hermopolis takes information on the cause of the famine, to communicate after a Djoser.

In 46 BC, under Cleopatra, Imhotep gives to the high priest of Memphis Pascherienptah and his wife Taimhotep the much-desired son, who was given the name of god. Greek horoscope of 138 AD, Hermes and a Asclepius, that is Imuthesnominatil’uno are next to each other, a Asclepius Imuthesis also mentioned in Kosmou Kore (the maiden of the cosmos).

Ermete Trismegisto

The image of Imhotep, as scribe seated with a papyrus scroll in his lap, also influenced the representation of Hermes Trismegistus. The treatises of the Corpus Hermeticum are presented in the form of direct proclamation of Hermes, in dialogue form of Trismegistus and his son Tat (Thoth), or with Asclepius. Also themes are developed cosmos-critical Platonism and positioning itself in Gnostic doctrines: in the corpus of Nag Hammadi has found a script of Asclepius.
However it is clear to the Egyptian provenance for the apocalyptic nature dell’Asclepio on the future, it is part of the ancient Egyptian tradition as the prophecies of Nefertiti, arriving until the Ptolemaic era. According Kosmou Kore, the gods have impressed in Egyptian priests three arts: the philosophy and magic for the soul, the art of medicine for the body. What remains is given by the gnosis of salvation: the demiurge Nous created the primordial man, who was also working as a creator, but attaversando areas of planets down to earth, restrained by matter. Only he who knows himself can break free from these chains.
The obscurity is like a religion without a temple without worship, but uses the existing Egyptian times. As Hermes Trismegistus was not considered a god, but a man, even the scribes Christians recognized him and used his doctrines. The Tabula Smaragdina, also called Kybalion, which seems to have been found in the tomb of Hermes Trismegistus under a statue of Hermes, is today considered to be the work of an Arab alchemist of the eighth or ninth century.
“What is below is like what is above and what is above is like what is below to do the miracles of one thing. And as all things have been and arose from one by the mediation of one, so all things are born from this one thing by adaptation.
The Sun is its father, the moon its mother, the wind carried it in its belly, the earth is its nurse. The father of all, the end of the world is here.
Its force or power is entire if it be converted into earth. Separate thou the earth from the fire, the subtle from the sweetly with great industry. Rising from earth to heaven and descends again to earth and receives the force of things superior and inferior. By this I mean you will have the glory of the world and through this darkness will flee from you. Its force is above all force it vanquishes every subtle thing and penetrates every solid thing. Thus it was created the world. And what will come admirable adaptations, whose method is here.
That is why I am called Hermes Trismegistus, having the three parts of the philosophy of the whole world. Complete is what I said the operation of the sun. “- Tabula Smaragdina

Le Confessioni di un Illuminato Volume 4[:]

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IL MITO DI OSIRIDE

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Osiride nella teogonia eliopolitana appartiene alla quarta generazione di Dèi, in quanto figlio, insieme a Seth, Iside e Nephtys o Neb-het, di Geb e Nut, la Terra e la Volta Celeste, a loro volta generati da Shu e Tefnut, il Potere dell’Aria e dell’Umidità, portati in atto da Atum, prima. Manifestazione autocreatasi dalla Potenza del Nun, l’Oceano Primordiale. Solo Osiride ed i suoi fratelli sono nati dal rapporto sessuale (se così si può dire) tra gli Dèi, poiché le tre generazioni precedenti sono originate per progressiva individuazione del Principio sul piano dell’esistente. Il mito di Osiride è ben conosciuto, per cui ricordiamo soltanto due particolari che troviamo in alcune versioni e su cui ritorneremo più avanti: Osiride sarebbe stato invitato da Seth ad un banchetto nel corso del quale egli si sarebbe ubriacato, fatto che facilitò al fratello l’ucciderlo o rinchiuderlo in una cassa a seconda delle varianti testuali; altri testi riferiscono che in stato di ebbrezza Osiride violentò la sorella Neb-het, sposa di Seth, dalla quale ebbe il figlio Anubis (il quale quindi sarebbe il fratello maggiore di Horus).

In tutte le versioni comunque Iside recuperò tredici parti del corpo di Osiride fatto a pezzi da Seth (non venne ritrovato il suo fallo, mangiato da un pesce) e li riunì con l’aiuto della sorella Neb-het, per rivivificarli con un atto magico e generare in tal modo Horus. Nei Testi delle Piramidi si trovano tracce però di un differente mito: Osiride sarebbe “caduto” nel fiume o città o regione di Nedit, situata sul Nilo vicino ad Abydos, per opera di Seth, e ritrovato “giacente sul fianco” da Iside: “Il Grande è caduto sul suo fianco, colui che è in Nedit è stato abbattuto” (par. 819); “La tua sorella più giovane [=Iside] è colei che ha raccolto il tuo corpo, che ti ha chiuso le mani, ti ha cercato e ti ha trovato steso sul fianco sulla sponda del fiume Nedit” (par. 1008);

“Iside e Neb-het,  hanno trovato Osiride, suo fratello Seth lo aveva gettato giù a Nedit” (par.1256); “Osiride è stato gettato giù [o deposto?] da suo fratello Seth, ma egli è colui che è in Nedit” (par. 1500). Ricordiamo che i Testi delle Piramidi risalgono alla V e VI Dinastia, e ovviamente la loro antichità è di gran lunga superiore alle testimonianze su Osiride che ci sono pervenute dal Medio e Nuovo Regno, per non parlare del periodo greco-romano, per cui sarebbe interessante approfondire il significato di questa versione.

Quello di Osiride è un mito di morte e di rinascita, affine a quello di molte divinità mediterranee, come Adone, Attis, Dioniso, ma ne differisce per un elemento molto importante: Osiride non ritorna nel suo stato originario di Sovrano dei viventi, quale era stato nominato dal padre Geb, ma diviene “il Signore degli Occidentali”, cioè dei defunti, cedendo al figlio Horus il potere sulla terra. Avviene così una mutazione di stato, passando egli dal piano della realtà manifesta al piano infero: in altre parole, è un Dio che non ha più il potere creatore, e questa condizione è adombrata dalla perdita del fallo, simbolo del potere di generazione. A sottolineare il suo stato di Signore dell’Aldilà Osiride viene rappresentato sempre mummiforme, cioè incapacitato ad agire.

Ciò nonostante, egli fu una delle maggiori divinità dell’Egitto antico, e la sua progressiva affermazione quale divinità del ciclo generativo e quindi della morte e resurrezione di contro a Râ, il Sole mai sottoposto a decadimento e morte, fu probabilmente la conseguenza di quel processo di “democratizzazione dell’Aldilà” iniziato nel Primo Periodo Intermedio e poi proseguito attraverso un plurimillenario percorso fino a sfociare nella religione misterica di Serapis in epoca tolemaica e poi romana. E’ con l’Egitto ellenistico dei Tolomei che i rituali osiriaci arcaici, incontrando la nuova mentalità spiccatamente antropocentrica proveniente dalla Grecia, si trasformano in veri e propri Misteri, affini per struttura e contenuti a quelli che possiamo definire “classici”. I quali costituirono l’aspetto esoterico del culto di alcune divinità greche ed orientali.

Tratto da Anemos- La Vita è un Soffio di Leonardo Lovari

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La Geografia dell’Oltretomba Egizio

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Tramite le formule è possibile delineare non solo la geografia del cielo, anche se non in modo preciso, ma anche gli elementi che si trovano all’interno. Il cielo, infatti, presenta sia strutture sia creature, sebbene le prime siano decisamente poche. Sono, infatti, citati solo due santuari:

• Il Recinto di Horus appartenente al Cielo.
• La Casa del Re appartenente al Cielo.

Il mondo celeste presenta le medesime caratteristiche della terra, anch’esso infatti ha dei punti cardinali e dei limiti, inoltre può essere circumnavigato. Sappiamo che a ogni lato è presente un’entrata, la quale non serve solo per l’accesso delle divinità e del faraone defunto, ma anche per bloccare l’ingresso agli stranieri e alla gente comune. Il cielo presenta un limite superiore, il quale può essere raggiunto da tutte le creature, e Sethe lo identifica con il termine iskn, anche se sembra essere una regione occidentale e forse presente anche a Est. Ad esempio:

Pyr. 1016c. iskn pt
Lo iseken del cielo

Il Sole scende sulla barca notturna da questa regione e sempre da qui richiama il sovrano affinché assurga al ruolo di stella del mattino. Il termine iskn, all’interno dei Testi delle Piramidi, sembra delineare un corpo fatto d’acqua o una striscia di terra, infatti:

Pyr. 1170a. rdi.f’ .f ‘ir.k m iskn n pt.
Egli porge il suo braccio a te nell’iskn del cielo.

In questo specifico a iskn segue il determinativo del canale, mentre ha tutt’altra definizione nei Testi dei Sarcofagi dove viene utilizzato come determinativo di aree desertiche o straniere.
Un’altra regione nominata nei testi e situata i margini del cielo è w’rt, la quale può essere riferita a uno o più elementi, tradotta come “landa desertica”. In un caso vediamo:

Pyr. 1168b. ‘h’ r.f’ ir w’rt wrt.
Attendilo alla grande w’rt.

Solamente in Pyr. 1201d si suggerisce che la w’rt possa avere una localizzazione settentrionale perché è posta in relazione con le ixmw sk, le Stelle Imperiture della fascia Circumpolare. Nei Testi dei Sarcofagi di Medio Regno (CT IV 359b) invece si dà una localizzazione di w’rt più precisa, viene infatti collocata di fronte a la iskn, che abbiamo visto essere posta idealmente a Occidente.

Tra le regioni non mancano i campi, sht, che abbiamo già avuto modo di vedere in precedenza. In particolare riconosciamo due aree, molto vicine alle Stelle Imperiture, e già viste in precedenza in Pyr. 749c-e.

In Pyr. 749c-e. abbiamo citati sia il Campo di Giunchi, sht-i3rw, sia il Campo delle Offerte, sht-htp.w. Questi due campi sono particolarmente importanti nella ricostruzione del cielo dato he sono a esso direttamente associati, in particolare a all’area Settentrionale dove si trovano le ihmw-sk, come nel caso dell’iskn.

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Questi campi sono inondati dall’acqua, di cui abbiamo accennato, e sottolineano come l’aldilà sia visto come un luogo dove questo elemento è particolarmente presente. Nella geografia oltremondana che si evince dai Testi delle Piramidi abbiamo citati, più volte, dei laghi e dei canali che tagliano le terre emerse. Secondo Allen l’aldilà è un “corpo d’acqua” e il nome di questa massa liquida è ptri o ptrw.

Sp. 468a. hrt ptr pt.
Presiedi al ptr del cielo.

In questo caso abbiamo il termine ptr con diverse coppie di occhi associate al cielo, mentre in alcuni casi è presente anche il determinativo del lago o del canale che può essere tradotto.

Riassumendo brevemente possiamo dire che la dw3t celeste sia ricostruita nella mentalità egizia come una regione caratterizzata dalla presenza di acqua e con: campi, aree desertiche e paludi. Queste terre sono tagliate da canali, laghi e bacini. A Nord del cielo oltremondano le Stelle Imperiture vivono in eterno e sono il luogo finale del viaggio del sovrano. Al centro di questa serie di regioni e ambienti, che abbiamo tentato di disporre secondo le coordinate geografiche, possiamo ipotizzare ci fosse il “cammino del firmamento” o la Via Lattea, il mskt shdw, che simboleggia un luogo di passaggio che caratterizza l’intera dw3t, oltre alle azioni dello spirito del faraone che ha accesso sia al mondo terreno che al mondo celeste.

http://leonardolovari.altervista.org/la-geografia-delloltretomba-egizio/

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Aton – La Religione della Luce

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Aten (anche Aton,) è il disco del sole nell’antica mitologia egizia , e in origine un aspetto di Ra . L’ Aton divinizzato è il focus dell’ enoteistica , o monoteistica religione dell’Atonismo introdotta da Amenhotep IV, che in seguito prese il nome di Akhenaton nel culto e il riconoscimento di Aton. Nel suo poema “Grande inno ad Aton “, Akhenaton loda Aton come il creatore e datore di vita. Il culto di Aton è stata cancellato da Horemheb .

Aton, il disco solare, viene prima indicato come una divinità in “La storia di Sinuhe” dalla XII dinastia , in cui il re defunto è descritto come un dio in cielo unendosi con il disco-solare, il corpo divino si fonde con il suo creatore. Per analogia, il termine “l’Aton argentatp” è stato talvolta usato per riferirsi alla luna. L’Aton solare è stato ampiamente venerato come un dio nel regno di Amenhotep III , quando fu raffigurato come un uomo dalla testa di falco molto simile a Ra . Nel regno del successore di Amenhotep III, Amenhotep IV, l’Aten divenne il dio centrale della religione di Stato egiziana, e Amenhotep IV cambiò il suo nome in Akhenaton per riflettere il suo stretto legame con la nuova divinità suprema.

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Il titolo completo del dio di Akhenaton era ” Ra-Horakhty che gioisce all’orizzonte, nel suo nome, come la Luce che è nel disco solare. ” (Questo è il titolo del dio come appare sulle numerose stele che sono state collocati per segnare i confini della nuova capitale di Akhenaton, Akhetaten , (la moderna Amarna .) Questo lungo nome è stato spesso ridotto a Ra-Horus-Aten o semplicemente Aton in molti testi, ma il dio di Akhenaton  è considerato una sintesi di antichissime divinità visualizzate in un modo nuovo. Il dio è anche considerato sia al maschile che al femminile contemporaneamente. Tutta la creazione è stato pensata per emanare dal dio e di esistere all’interno del dio. In particolare, il dio non è stato raffigurato in forma antropomorfa (umana), ma con raggi di luce che si estendono dal disco del sole.

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Inoltre, il nome del dio è stato scritto all’interno di un cartiglio , insieme con i titoli dati normalmente ad un Faraone , un’altra rottura con la tradizione antica. Ra-Horus, più comunemente indicato come Ra-Horakhty (Ra, che è l’Horus dei due orizzonti), è una sintesi di altre due divinità, entrambi le quali sono attestate molto presto. Durante il periodo di Amarna, questa sintesi è stato vista come la fonte invisibile di energia del dio del sole, di cui la manifestazione visibile era Aton, il disco solare. Così Ra-Horus-Aten è stato uno sviluppo di vecchie idee venute a poco a poco. Il vero cambiamento, come alcuni lo vedono, era l’apparente abbandono di tutti gli altri dei, in particolare Amon , e l’introduzione discutibile del monoteismo da Akhenaton. Il sincretismo è evidente nel grande inno di Aton in cui Re-Herakhty, Shu e Aton vengono uniti nel dio creatore. Altri vedono Akhenaton come un praticante di una monolatria di Aton, lui non ha negato attivamente l’esistenza di altri dèi; si è semplicemente astenuto dall’adorare il resto del pantheon divino egizio.

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Durante il periodo di Amarna, ad Aton è stato data una titolatura reale (egli era considerato il re di tutti), con i suoi nomi disegnati in un cartiglio . C’erano due forme di questo titolo, il primo aveva i nomi di altri dèi, e il secondo, quello che era più ‘singolare’ e si riferiva solo ad Aton stesso. La prima forma è Re-Horakhti che gioisce nell’orizzonte, nel suo nome Shu che è Aton. La forma più tarda ha Re, sovrano dei due orizzonti che gioisce nell’orizzonte, nel suo nome di luce che è Aton.

Akhenaton

Akhenaton

  • Le illustrazioni e i basso rilievi di Aton lo  mostrano con una superficie curva, lo studioso Hugh Nibley insiste sul fatto che una traduzione più corretta sarebbe globo, globo o sfera, piuttosto che disco . La forma sferica tridimensionale di Aton è ancora più evidente quando tali rilievi vengono visualizzati nella realtà, piuttosto che semplicemente nelle foto.
  • C’è la possibilità che la forma tridimensionale sferica di Aton raffigura l’occhio di Horus/Ra. Nelle prime religioni monoteistiche come lo Zoroastrismo il sole è chiamato Ahura Mazda (“Spirito che crea con il pensiero”) .
  • Queste due teorie sono compatibili tra loro, dal momento che l’occhio è una sfera.

Nomi derivati ​​da Aton

  • Akhenaton : “colui che è utile a Aton.”
  • Ankhesenpaaten : “La sua vita è di Aton.”
  • Beketaten : “serva di Aton.”
  • Meritaten : “Lei che è amata da Aton.”
  • Meketaten : “Ecco Aton” o “Protetto da Aton.”
  • Neferneferuaten : “Il bello di Aton.”

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L’ebraico geroglifico.

ebraico

L’importanza delle radici e la distanza tra l’ebraico del testo sacro e l’ebraico corrente sono indici di una componente geroglifica dell’ebraico antico . Tale componente dovette svilupparsi , con ogni probabilità, durante i quattro secoli dell’esilio di Israele in Egitto ( tra il XVI e il XIII sec. a.C), poi venne dimenticata dopo il ritorno nella terra promessa.In Palestina il modo di pensare connesso alla lingua geroglifica era divenuto inutile e poco pratico.

Il “segreto” delle lingue geroglifiche , consiste nel fatto che :

1) Le lettere delle lingue geroglifiche avessero ciascuna, un valore fonetico e insieme un significato compiuto,

2) Per conoscere davvero una lingua geroglifica bisogna conoscere perfettamente i significati delle lettere, e saperli interpretare, così da avere il senso intero , originario.

In egizio e in ebraico , il senso delle parole erano tre. Un modo per parlare, un modo per significare, e un modo per nascondere i significati. Oggi si indicano in livello letterale, livello figurato, e livello sacro. Il livello letterale era usato nel linguaggio corrente e doveva essere chiaro e oncreto.
Il livello figurato , le parole non indicavano le cose concrete, ma il loro valore metaforico cioè ciò che può rappresentare. Il livello sacro le aprole divenivano realtà del mondo dello spirito e degli Dei. In ebraico , al primo e secondo livello la funzione delle lettere dell’alfabeto è solo fonetica, mentre il terzo livello è quello in cui le lettere mostrano che cosa si nasconda nelle parole.

Così , “luce” in ebraico è ‘aOR: la prima lettera, l’aleph , è il segno della potenza, la lettera O è il segno dell’intelligenza, la lettera R è il segno del movimento. Il significato geroglifico della luce è dunque ” la potenza del comprendere, che ha cominciato a muoversi”. Nelle versioni consuete della Bibbia , le parole e i nomi vengono tradotti solo al primo livello, sporadiche incursioni nel secondo livello, questo perchè sono fatte da traduttori che non conoscevano la componente geroglifica dell’ebraico.

Leonardo Lovari.

Fonti: La creazione dell’Universo – Igor Sibaldi.