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Una civiltà evoluta? di Valentino Bellucci

kali-yuga

Una civiltà evoluta?

 Mi sono sempre chiesto da dove sia nata tutta questa sete di sangue e di violenza dell’uomo europeo; altre civiltà ne sono esenti, ancora oggi, e vivono in modo semplice e pacifico, in armonia col cosmo. La studiosa della Preistoria, Marija Gimbutas, scoprì che circa 5000 anni fa delle tribù provenienti dall’Europa medio-orientale invasero le culture del Mediterraneo: “…queste tradizioni millenarie furono troncate di netto: città e villaggi furono rasi al suolo, sparì la magnifica ceramica dipinta, così pure gli altari, gli affreschi, le sculture, i simboli…[…] Le culture antico-europea e Kurgan erano agli antipodi l’una dell’altra. Gli antichi europei erano orticoltori sedentari, inclini a vivere in grandi agglomerati ben pianificati. L’assenza di fortificazioni e di armi attesta l’indole pacifica di questa civiltà egualitaria, che era matrilineare e matrilocale. Il sistema Kurgan era composto da unità di mandriani patrilineari, che vivevano in piccoli insediamenti stagionali e allevavano i loro animali in vaste aree.

Un’economia era basata sulla coltivazione, l’altra sull’allevamento e la pastorizia; le ideologie a esse sottese erano opposte. Il sistema di credenze antico-europeo si concentrava sul ciclo agricolo di nascita, morte e rigenerazione, incarnato dal principio femminile, una Madre Creatrice. L’ideologia Kurgan, come si evince dalla mitologia comparata indo-europea, esaltava gli dèi virili, guerrieri eroici, patroni del fulmine e del cielo…”[1]   C’è del vero nelle scoperte archeologiche e etnologiche della Gimbutas, ma manca una visione più ampia, la visione ciclica. Se le tribù Kurgan hanno invaso le altre culture, pacifiche e dedite all’agricoltura (e quindi sostanzialmente vegetariane), sterminandole – ciò è successo non solo a causa della “addomesticazione del cavallo [che] sembra aver prodotto uno squilibrio tra l’approvigionamento di terreni di pascolo nelle steppe della Russia meridionale e il bisogno di cibo per le mandrie che diventavano rapidamente sempre più numerose.”[2] ma soprattutto a causa di una visione della natura come parte separata, da dominare e sottomettere. I gruppi Kurgan avevano già una struttura sociale che avvalorava il più forte e rituali con sacrifici umani…E avevano perso una visione del tempo ciclica, che le culture della Dea Madre invece seguivano; è con una visione della propria storia come linea separata dalle ciclicità del cosmo che nasce l’europeo violento, dominatore, colonialista, come ha intuito acutamente Jean Servier: “ Differiamo dalle civiltà tradizionali perché vogliamo concepire la storia come un corso lineare…[…] …per esse infatti il passato non è insondabile né l’avvenire misterioso, poiché entrambi sono pagine di uno stesso libro. Tutti gli uomini hanno coscienza di essere i segni scritti sulle pagine di questo libro, foglie di uno stesso Albero della Vita…”[3] Ma dai Kurgan in poi l’Europa sceglie l’Albero della Morte, con tutte le continue guerre per il potere che la storia “lineare” ci racconta, con tutti i genocidi, fino alla situazione attuale, dove all’uomo occidentalizzato non resta che rivolgere quella follia distruttiva su se stesso; il disastro ecologico è quindi il culmine di un tipo umano, che da millenni vive in una costante separazione psichica dal resto dell’armonia cosmica…In fondo gli allevamenti intensivi non potevano che essere la logica follia di una visione dell’animale come oggetto, che già i Kurgan avevano abbracciato. Ma questo disastro rientra anch’esso in un ciclo.

Questo è ciò che gli studiosi stessi ignorano, poiché rifiutano la storia ciclica contenuta nei Purāna, testi enciclopedici di una civiltà avanzatissima sotto ogni aspetto. L’umanità attraversa quattro epoche, con diverse caratteristiche, e l’epoca attuale è denominata Kali-Yuga, cioè età (yuga) perdente (kali), dove domina la violenza e l’autodistruzione. E tale epoca, secondo i calendari vedici, ha avuto origine proprio 5000 anni fa, quando la Gimbutas fa risalire la discesa devastante dei Kurgan…coincidenza? No, semplicemente il cosmo è, appunto, un ordine e in tale ordine le epoche si avvicendano, nel loro eterno ciclo, fino alla dissoluzione dell’universo, anch’essa parte di un ciclo più grande. Quindi non basta, come afferma Riane Eisler, “il passaggio dall’androcrazia alla gilania [che] contribuirebbe a far cessare la politica di dominio e l’economia di sfruttamento”[4], poiché  recuperare il ‘femminile sacro’ senza avere un diverso paradigma del ‘maschile sacro’ è ugualmente alienante e inefficace, come le varie correnti del femminismo e dell’ecologismo hanno dimostrato. Per uscire dall’incubo del Kali-yuga occorre recuperare la radice stessa della ciclicità sacra e la conoscenza immensa che la civiltà vedica ci offre…conoscenza materiale e spirituale insieme. Ho altrove[5] dimostrato che l’antica civiltà vedica non è stata il prodotto delle ‘invasioni ariane’ (sempre legate al paradigma Kurgan) ma è stata una civiltà planetaria dove maschile e femminile erano in perfetta armonia e ogni ordine sociale (varna) serviva all’equilibrio del Tutto.

Nei capitoli di questo saggio ho analizzato i vari aspetti della degenerazione del Kali-yuga, degenerazione che investe la scienza, l’arte, la religione, la medicina…Lo studioso Josipovici così ha sintetizzato la situazione attuale: “ Ed ecco il risultato: trascinato, poi dominato da bisogni materiali sempre nuovi, schiavo di leggi economiche incontrollabili, costruttore di industrie che distruggono la vita, accade che la natura torturata non solo abbia smesso di dargli il minimo sostegno, ma gli si rivolti contro…”[6] Tutti i popoli del pianeta hanno guardato con tristezza alla ‘follia dell’uomo bianco’, follia che non sembra arrestarsi ma accelerare; nel Bhagavata Purāna questa epoca è descritta così: kaler dosa-nidhe, ovvero: un oceano di errori; il testo vedico descrive nel dettaglio la degenerazione fisica, morale, politica, economica e persino ambientale! Eppure abbiamo la possibilità di una via d’uscita, se lo vogliamo.

Valentino Bellucci



[1] M. Gimbutas, Kurgan. Le origini della cultura europea, Medusa, Milano 2010, pag. 72 e 73.

[2] Ivi., pag. 74.

[3] J. Servier, L’uomo e l’invisibile, op. cit., pag. 397 e 401.

[4] R. Eisler, Il Calice e la Spada. La civiltà della Grande Dea dal Neolitico ad oggi, Forum, Udine 2012, pag. 352.

[5] Cfr. V. Bellucci, Le strutture sociali del varnāshrama-dharma, Solfanelli, Chieti 2014.

[6] J. Josipovici, Il fattore “L”, Mediterranee, Roma 1976, pag. 59.

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